Opere in mostra
Scultore romano
Busto maschile
Sec. I – II (tarda età flavia-prima età traianea)
Marmo bianco a grana media, h. cm 36
Il ritratto maschile, vestito di tunica e toga che lo qualificano come cittadino romano, mostra una decisa torsione verso destra e riproduce con crudo realismo un uomo di età avanzata, dai tratti marcati con solchi profondi sul viso e sul collo. La riproduzione realistica dei tratti fisionomici del personaggio nonché l’espressione fortemente volitiva sono elementi peculiari della ritrattistica tardorepubblicana, che riemergono in età flavia. Queste qualità si traducono nella tipologia di forte realismo caratteristica dell’epoca di Vespasiano; ai ritratti di tale imperatore inoltre la testa Santarelli sembra rifarsi anche se esistono alcune differenze nei tratti fisionomici.
Il personaggio raffigurato sembra essere un importante uomo politico romano, forse un magistrato, a fine carriera che dedicò la sua vita all’impegno per l’Impero.
Scultore romano
Ritratto virile
Intorno al 240 d.C.
Marmo bianco a grana fine, h. cm 31
Il ritratto raffigura un giovane uomo con barba e capelli molto corti e delineati da sottili tratti incisi ‘a penna’; da quanto si desume dalla terminazione a cuneo del collo, la testa doveva probabilmente completare una statua a figura intera lavorata a parte.
La tecnica di lavorazione a sottili incisioni permette una datazione abbastanza precisa poiché intorno al 240 d.C. venne impiegata frequentemente su ritratti di imperatori. In particolare con i ritratti di Filippo l’Arabo, morto nel 249, la testa Santarelli condivide il medesimo gusto per il deciso realismo e la caratterizzazione fisionomica fino a esiti di natura emotiva estremamente eleganti dal punto di vista formale.
Scultore ellenistico
Ritratto di Cleopatra VII
Terzo quarto del sec. I a.C.
Marmo bianco a grana fine, h. cm 42
Il ritratto di Cleopatra mostra nei lineamenti del viso e nelle leggere pieghe del collo una certa caratterizzazione fisionomica, nonostante una idealizzazione del tipo. Il volto, leggermente ruotato verso destra, appare ben caratterizzato nella bocca piccola ma con labbra carnose, negli occhi a mandorla non del tutto asimmetrici, nelle gote carnose; le orecchie sono forate per poter indossare degli orecchini in metallo. L’acconciatura, che in alcuni punti sembra rilavorata, presenta una profonda scriminatura centrale, probabilmente per ospitare un diadema in metallo prezioso, e si presenta a bande laterali raccolte in un piccolo chignon. Per le caratteristiche fisionomiche del volto, l’opera è databile al I secolo a.C. L’ampia scollatura e la terminazione a cuneo del busto inducono a ipotizzare che l’opera fosse predisposta per una statua a figura intera, probabilmente con una parte del busto nudo.
Scultore romano
Busto di Ulpia Felicitas
Inizio del II sec. d.C.
Marmo bianco a grana fine, h. cm 56,5
Il busto femminile, di altissima qualità, poggia su di un basamento a forma di parallelepipedo rettangolare con l’iscrizione Ulpia Felicitas ed è abbigliato con tunica e mantello (palla). Il volto rotondo è caratterizzato da un mento sfuggente, una piccola bocca dalle labbra carnose, un naso adunco, occhi con palpebre spesse e sopracciglia leggermente arcuate; l’acconciatura è formata da una serie di trecce riunite sul retro della testa. Il retro del busto è tagliato nettamente per tutta l’altezza e doveva probabilmente in origine essere addossato a una parete.
Il busto femminile doveva essere un rilievo funerario, monumenti molto diffusi in età tardorepubblicana e protoimperiale, che spesso ritraevano due o più membri della stessa famiglia, appartenenti frequentemente al ceto libertino (nota per il traduttore: libertino= dei liberti); tali rilievi funerari tornarono in auge nel 2° sec. d.C., esposti all’interno di nicchie nei colombari.
Scultore romano
Ritratto femminile
Metà del I sec. a.C.
Marmo bianco a grana fine, h. cm 34
Il ritratto femminile, di altissima qualità formale, mostra un ovale morbido, con labbra carnose, naso diritto, occhi con palpebre sottili, sopracciglia arcuate e una fronte spaziosa. L’acconciatura, a ciocche ondulate raccolte sulla nuca e scriminatura centrale, è in parte nascosta dal mantello (palla) ed è impreziosita da vezzosi riccioli sulla fronte.
L’opera era presumibilmente destinata all’uso funerario. Il ritratto muliebre mostra accenti fisionomici caratterizzati seppure subordinati a quell’ideale di bellezza femminile caratteristico dell’età tardorepubblicana.
Scultore romano
Busto di giovane
Inizi del I sec. d.C.
Marmo pario, h. cm 40
Il ritratto raffigura un giovane calvo, con le gote paffute, labbra carnose, il cranio globulare molto sviluppato e un foro quadrangolare sulla sommità del capo, presumibilmente per accogliere un elemento decorativo, forse in stucco, che per la posizione particolare poteva essere una ciocca di capelli. Tale elemento può avvicinare il busto di giovane ad alcuni ritratti di fanciulli associati al culto della dea Iside ed è definito il ‘ciuffo di Horus’ (il figlio di Iside).
La popolarità del culto di Iside è legata al mito di Osiride in quanto sua sposa, dopo l’uccisione del marito essa ne ricerca il corpo e gli ridona la vita, generando Horus. Il culto isiaco si diffuse dall’Egitto e dall’Oriente greco fino all’Impero romano nel II-III secolo, con valenza di protezione delle anime nell’aldilà. Il ritratto Santarelli potrebbe essere ascrivibile ad ambito funerario.
Scultori romani
Busto virile
220-235 circa
Marmo bianco pentelico (testa), porfido egiziano (busto), h. cm 62
Il busto proviene da Tangeri ed era parte della collezione di Klaus Otto Preis; precedentemente proveniva da Volubilis in Marocco. Venne successivamente acquistato dall’antiquario Jacques Petithory (1929-1992) e completato con la testa in marmo bianco e con il piedistallo in serpentino modanato.
Il ritratto, di squisita fattura, mostra un giovane uomo caratterizzato da un’accentuata torsione verso destra, con barba e baffi leggermente graffiti e lo sguardo sottolineato dall’iride e dalle pupille. Il busto in porfido è loricato con il mantello fermato sulla spalla destra; il retro è lasciato grezzo e potrebbe essere una rilavorazione di una statua di dimensioni minori rispetto al naturale. Alcune caratteristiche della testa, come il vuoto intorno all’orecchio destro, sembrano indicare una rilavorazione e dunque un cambiamento d’identità del personaggio raffigurato, avvicinandosi a un ritratto di Alessandro Severo. Lo stesso abbinamento con un busto in porfido, di esclusiva pertinenza imperiale, sembra suggerire un ritratto di imperatore.
Scultore greco-romano
Statua di cavaliere orientale
Sec. I – II d.C.
Marmo microasiatico bianco a grana media, h. cm 115
La scultura, la cui iconografia è molto rara, raffigura un cavaliere sul cavallo di dimensioni inferiori al naturale. Il cavallo è rappresentato nella posizione della levade, con gli arti anteriori poggianti su uno scudo umbonato, spartito in quattro campi e decorato da motivi a pelta. Il cavaliere indossa dei pantaloni, una tunica con maniche corte e un mantello con ricche pieghe allacciato sul petto con una fibbia circolare; trasversalmente, sul petto, è un balteo, la cinghia dove è allacciato il fodero della spada sul fianco destro del cavaliere. Ai piedi sono dei calzari a sandalo con stringhe, che lasciano fuori le dita.
Il cavallo, ben proporzionato, mostra sotto la sella una pelle di fiera, forse un puma o una pantera, con il muso sul petto del cavallo e le zampe posteriori adagiate sugli arti del cavallo. L’uso di pelli ferine sui cavalli ha origini antichissime: se ne trovano esempi già nel IV secolo a.C. in ambito orientale ed ellenistico, per poi diffondersi nell’impero romano. La sella è del tipo a quattro corni, molto diffusa anche tra i Romani poiché permetteva ai soldati un buon equilibrio durante le battaglie. Per maggiore stabilità della statua il ventre del cavallo poggia su un plinto modanato. I molteplici fori presenti nella scultura denotano l’uso di inserti metallici, come un morso o le redini, che dovevano completare l’opera.
La statua equestre mostra un arciere orientale, probabilmente arruolato nell’esercito romano, raffigurato durante una parata militare e presumibilmente faceva parte di un monumento celebrativo più ampio di cui non restano testimonianze.
Scultore romano
Sacerdote palmireno
Prima metà del III sec. d.C.
Calcare, h. cm 35,5
La testa è in rigida disposizione frontale come si evince dal retro, non lavorato, e faceva probabilmente parte di un rilievo funerario. Rappresenta un uomo imberbe, probabilmente calvo, con il viso di forma ovale allungata, le guance arrotondate, la bocca abbastanza piccola e con labbra carnose, il naso dritto. Gli occhi ad amigdala hanno palpebre taglienti, iride e pupilla sottolineati, e sopracciglia formate da una serie di piccole incisioni. Sopra la fronte bassa è il modius, il tipico copricapo distintivo dei sacerdoti palmireni, suddiviso in tre fasce verticali, di cui si percepisce anche la fodera interna. Cinge il copricapo una corona di alloro, trattata come una ghirlanda a rilievo aggettante, con foglie lanceolate e sottolineate da una nervatura centrale; rimangono ancora delle tracce di colore rosso, probabilmente base di una doratura. Al centro della corona, entro una cornice perlinata, è un busto maschile che indossa un chitone, il mantello con fibbia sulla spalla destra, e che dovrebbe presumibilmente raffigurare un avo del sacerdote defunto, così eroicizzato dalla discendenza illustre.
La testa, di livello straordinario, si inserisce all’interno della produzione di ritratti palmireni, ieratici, piuttosto stilizzati e standardizzati, che differiscono tra loro solo per pochi particolari e per la qualità di esecuzione.
Scultore romano
Ritratto di giovane
Fine del IV – primi decenni del V secolo
Marmo bianco a grana fine, h. cm 21
La testa raffigura un giovane uomo dai tratti piuttosto stilizzati. La forma del volto è ovale, con mento pronunciato, bocca piccola con labbra carnose, naso regolare e grandi occhi, sottolineati da spesse palpebre, iride e pupilla ottenuti mediante incisioni sottili, e da arcate sopracciliari particolarmente arcuate, ridotte a motivo decorativo. La fronte è bassa e i capelli sono sommariamente delineati con leggeri solchi.
Il retro della testa presenta una scalfittura sulla nuca, segno interpretato da Cadario (2015) come una probabile rilavorazione della scultura, che in origine poteva raffigurare un ritratto femminile con chignon, rilavorato in epoca tardoantica come ritratto di giovane uomo. Tale ipotesi trova conferma nei tratti astrattizzanti del volto e nell’assenza di intenti naturalistici o di individuazione fiosionomica del personaggio raffigurato.
Scultore romano
Bacco
Sec. I d.C., con integrazioni del sec. XVII
Marmo bianco a grana fine, h. cm 170
La statua presenta un Bacco giovane, con andamento chiastico: stante sulla gamba sinistra, poggiante su un pilastrino decorato da un motivo a tralcio di vite con andamento a spirale, con il braccio destro disteso e un grappolo d’uva in mano e il braccio destro piegato verso l’esterno con una coppa di vino in mano; la gamba destra è leggermente flessa verso l’esterno.
La parte effettivamente romana della statua è il torso, probabilmente in origine appartenente ad Apollo, con tratti idealizzati e due fluenti ciocche di capelli che ricadono sulle spalle. Il torso venne nel sec. XVII rilavorato come Bacco, con l’aggiunta della testa coronata da grappoli, le braccia con gli attributi del dio, e le gambe poggianti sul pilastrino decorato.
Sulla statua sono stati riconosciuti interventi del restauratore romano Baldassarre Mari, sia nel volto del Bacco sia nel motivo del pilastrino, da datare intorno agli anni sessanta del Seicento. Mari, accademico di S. Luca, lavorò lungamente per i restauri dei marmi Borghese, per i Doria-Pamphili, per i Colonna e per i Chigi; a partire dal 1645 intraprese una fruttuosa collaborazione con Gian Lorenzo Bernini.
Scultore romano
Testa di satiro
Metà del sec. II d.C.
Marmo bianco a grana fine, h. cm 30
La testa di giovane satiro, di squisita fattura, presenta un viso ovale con labbra carnose sorridenti, guance paffute con fossette ai lati della bocca; il naso regolare ha una scheggiatura sul bordo inferiore. I piccoli occhi sorridenti hanno palpebre ben delineate sotto a sopracciglia arcuate. La fronte spaziosa termina con due piccole corna situate all’attaccatura dei capelli; questi sono definiti da folte ciocche spettinate e ispide, trattenute da una corona di pigne. La testa è completata dalle orecchie appuntite.
Il satiro appartiene alla tradizione del mondo dionisiaco greco romano, che si perpetrava nei banchetti e nei momenti di vita quotidiana destinati all’ozio, al cibo e al vino. Statue di satiri e di Bacco erano spesso importanti elementi decorativi dei giardini e dei triclini.
Scultore romano
Erma bifronte
Sec. I – II d.C.
Marmo bianco statuario, h. cm 19,7
La doppia erma è composta dai volti di due giovani uomini, dai lineamenti molto simili e coronati di alloro. I due volti differiscono per pochi particolari. Il primo presenta un ovale più pronunciato, labbra carnose e naso dritto e allungato; gli occhi incavati hanno archi sopracciliari arrotondati. Il secondo volto mostra un contorno più rotondo, labbra carnose e un naso più piccolo; gli occhi, con palpebre spesse e archi sopracciliari rettilinei. I capelli sono lavorati con ciocche corte spettinate.
La presenza delle corone di alloro permette di individuare nei personaggi due atleti, che si erano particolarmente distinti in ambito sportivo. La stessa corona di alloro, ricompensa agli atleti vincitori, dava il diritto di essere ricordati per l’eternità e, nel mondo antico, rappresentava un onore equiparato a una vittoria in combattimenti di guerra.
Scultore romano
Busto virile entro corona di alloro
Circa 140 d.C.
Marmo bianco a grana fine, h. cm 65,5
L’opera ritrae un busto virile maturo abbigliato con una tunica e un mantello (il paludamentum) a pieghe quasi metalliche, fermato sulla spalla destra da una fibbia. Il personaggio presenta un volto ovale con barba sporgente resa mediante dei graffi, la bocca serrata è inquadrata da profonde rughe nasolabiali, le guance sono scavate. Gli occhi hanno palpebre pesanti e occhiaie; appena visibili l’iride e la pupilla. I capelli sono trattati con ciocche mosse intorno alla fronte e sulle tempie sono più gonfi e lavorati con il trapano.
Incornicia il busto un medaglione cinto da una corona di alloro, con foglie lanceolate, bacche e legatura sottostante, elementi che rendono l’opera di straordinario valore poiché molto rara in ambito monumentale. Nel mondo antico l’alloro aveva un forte significato celebrativo e trionfale e veniva impiegato per personaggi di spicco.
Sulla base di puntuali confronti con opere analoghe, l’originale funzione della scultura poteva presumibilmente essere quella funeraria.
Bottega dei Gagini
Angelo annunciante
Prima metà del XVI secolo
Marmo statuario, h. cm 115
Proveniente dal mercato antiquariale, questa scultura raffigurante l’Arcangelo Gabriele inginocchiato nell’atto di dare l’annuncio della maternità divina a Maria è stata riferita a un maestro dell’Italia meridionale della prima metà del 16° secolo. La statua presenta una disposizione visiva di tre quarti, che viene indicata anche dalla mancata rifinitura del marmo nella parte nascosta, suggerendo un dialogo con una statua della Vergine annunciata oggi dispersa. Nella produzione devozionale in particolare siciliana, la bottega di Antonello Gagini (1478-1536) e del figlio Antonino, cui sembra pertinente questo esemplare, ha esercitato una larga influenza, come confermano le numerose opere ritrovate nella regione tra le quali spicca proprio il tema iconografico dell’Annunciazione. La dinastia dei Gagini di origini ticinesi poi trapiantata a Genova e infine in Sicilia, si affermò con il capostipite Domenico che fu protagonista della scultura rinascimentale palermitana, città dove morì nel 1492.
Il figlio Antonello ereditò l’importante bottega dove furono impegnati i numerosi figli, Giovanni, Antonino, Giacomo e Vincenzo che estesero l’attività fino in Calabria e di nuovo a Genova per gran parte del Cinquecento.
Bottega dei Gagini
Tabernacolo eucaristico
Prima metà del XVI secolo
Marmo statuario, h. cm 87,5
Questo altorilievo era la parte centrale di un tabernacolo eucaristico a edicola, privato dello sportello di chiusura, collocato verosimilmente su una parete prossima all’altare. Il tabernacolo custodiva la pisside, il vaso che conteneva le ostie consacrate. Già nel Trecento si diffondevano i tabernacoli di forma architettonica che divennero di largo uso soprattutto fino alla metà del Cinquecento, quando con le disposizioni del Concilio di Trento si modificò la liturgia della messa che rese inutile la custodia delle ostie e che determinò di conseguenza la dispersione di questi tabernacoli. Questo esemplare presenta una facciata architettonica articolata con due lesene laterali dotate di capitello e un fregio con trabeazione, tutti decorati con racemi vegetali. Al centro, intorno all’arco a tutto tondo sono due coppie di angeli adoranti rivolti verso l’apertura dove erano conservate le ostie consacrate. Il classicismo delle figure e la stilizzazione delle forme decorative e architettoniche ha orientato l’attribuzione verso la bottega siciliana dei Gagini con una datazione entro la prima metà del Cinquecento.
Bottega romana
Spellato
Seconda metà del XVII secolo
Marmo statuario, h. cm 86
Questa particolare scultura rappresenta una mezza figura umana descritta nel suo apparato anatomico con il capo girato a sinistra e il braccio sinistro sollevato verso destra; l’altro braccio regge un drappo che dalle spalle ricade sull’addome. Il singolare soggetto deriva da una tradizione iconografica che si inaugura nella seconda metà del Cinquecento con le prime pubblicazioni scientifiche che indagano l’anatomia del corpo umano. Tra queste la più famosa era quella di Andrea Vesalio, il De umani corporis fabrica del 1543, corredata da numerose tavole realizzate da artisti che minutamente raffiguravano l’anatomia umana descrivendone apparati ossei e muscolari. Verso la fine del Cinquecento e successivamente in età barocca la minuzia descrittiva e l’interesse scientifico cedono verso rappresentazioni che privilegiano la posa drammatica e l’aspetto allegorico. Nella scultura funeraria barocca di intonazione teatrale compaiono figure descritte anatomicamente come allusioni alla vanitas e al memento mori oppure come risorti nel giorno del Giudizio. La forza plastica sottolineata dal braccio sollevato e dal capo rivolto alludono a un forte sentimento morale che sembra predominare la figura indirizzando la sua collocazione nel Seicento e probabilmente in ambito romano.
Alessandro Rondoni
(Roma 1644 ca. – dopo il 1710)
Busto del cardinale Marzio Ginetti
1673 circa
Porfido e marmo statuario, h. cm 89
Un documento di pagamento del 1673 e un elenco di opere già eseguite per la famiglia Ginetti nel 1675 attestano la paternità dello scultore romano Alessandro Rondoni per questo busto che ritrae Marzio Ginetti, nominato cardinale da Urbano VIII nel 1627. Proprio il celebre ritratto di Urbano VIII Barberini eseguito da Gian Lorenzo Bernini ha ispirato la particolare scelta di realizzare in porfido la mozzetta del cardinale e in marmo bianco la testa. Fin dagli esordi il Rondoni fu impegnato dalla famiglia Ginetti per il restauro di statue antiche e per la realizzazione di sculture allegoriche, in seguito si specializzò come ritrattista, come dimostra questo busto, fino a realizzare un notevole ritratto del celebre pittore Annibale Carracci conservato al Louvre. Raggiunta una discreta fama nell’ambiente romano lavorò in quegli anni settanta del Seicento per importanti famiglie come gli Altieri, che stavano costruendo il loro grandioso palazzo di famiglia a piazza del Gesù, e poco dopo entrò nel cantiere tardobarocco della chiesa di Santa Maria di Montesanto a piazza del Popolo insieme ai maggiori scultori di scuola berniniana dell’epoca, al cui stile il Rondoni si ispirava.
Scultore romano
Torso femminile
Sec. I d. C.
Alabastro cotognino, h. cm 67,4
La preziosa statua è composta da quattro segmenti di alabastro tenuti da perni metallici. La figura è priva degli arti e della testa che erano fissati nelle relative cavità visibili. Rappresenta una figura femminile stante, con la gamba destra leggerme flessa, abbigliata con un peplo dorico. Un ricco panneggio con profonde pieghe articola la veste, in particolare al centro, ricadendo intorno alla cintura. Un opposto andamento, verticale e orizzontale, caratterizza invece le pieghe della veste sulle gambe, profondendo eleganza e movimento alla figura.
Il ricco materiale usato, l’alabastro cotognino di provenienza egiziana, inizia a diffondersi a Roma intorno alla metà del 1° secolo a.C., segnalando l’affermazione di un gusto raffinato influenzato dalla diffusione della cultura ellenistica nell’Urbe insieme al fascino di quella egiziana.
La tecnica di lavorazione usata della sovrapposizione di diversi blocchi e soprattutto l’elegante articolazione della veste inducono a una datazione al 1° secolo d.C.
Scultore romano del I – II secolo; scultore romano del XVII secolo
Vestale
Sec. I – II; XVII
Alabastro verde e bronzo dorato, h. cm 56
La scultura rappresenta una figura femminile appoggiata a un pilastrino posto a sinistra. Abbigliata con un lungo chitone, ha le spalle ricoperte da un himation, un mantello greco romano. Tiene nella mano sinistra una patera sacrificale. Questo oggetto ha orientato a ipotizzare che la figura rappresenti una vestale, una giovane sacerdotessa del culto della dea Vesta. L’uso dell’alabastro e la tecnica di lavorazione appartengono a uno scultore romano del 1° o 2° secolo, ambito storico nel quale si diffuse l’utilizzo di questa raffinata roccia egiziana. La testa scolpita in bronzo dorato appartiene invece a un artista del Seicento, epoca in cui si diffuse, soprattutto a Roma, il reimpiego di statue antiche in alabastro che venivano reintegrate nelle mani e soprattutto nella testa. L’esempio più celebre è la sant’Agnese di dimensioni naturali che lo scultore francese Nicolas Cordier realizzò per l’omonima chiesa romana nel 1605, utilizzando un tronco di alabastro antico per il corpo. Analogamente per i Borghese concepì la cosiddetta Zingarella e la giovane mora ancora nella collezione originaria a Roma, impiegando il marmo nero antico in luogo dell’alabastro.
Gregorio di Lorenzo
(Firenze 1436 ca. – Forlì 1504 ca.)
Madonna con Bambino
Sec. XV
Marmo statuario, h. cm 49
Il rilievo rappresenta la Madonna di tre quarti seduta su un faldistorio che regge il Bambino seduto sulla gamba sinistra. Con la mano destra sostiene il gesto benedicente del Figlio, il quale regge nell’altra mano il globo crucigero. Un festone legato a due anelli decora il fondo.
L’opera proviene da una collezione fiorentina e in seguito fu acquistata da J. Pierpont Morgan, proprietario della celebre raccolta di opere rinascimentali di New York. È stata di recente attribuita allo scultore fiorentino Gregorio di Lorenzo attivo nella seconda metà del Quattrocento in gran parte dell’Italia centro-meridionale e poi anche in Ungheria e Dalmazia. Autore di numerose madonne di dimensioni analoghe a questa Santarelli, si formò accanto ai maggiori scultori fiorentini della metà del secolo, come Desiderio da Settignano e poi Andrea del Verrocchio. Seppure stilizzando le forme e i modelli di questi grandi scultori seppe infondere carattere originale ed espressione, spesso di sogghigno, alle sue figure.
Scultore romano
Busto di moro
Seconda metà sec. XVIII
Marmo statuario, h. cm 23
Il piccolo busto raffigura un moro descritto con i tipici tratti fisionomici dell’africano: labbra particolarmente grandi e prominenti, naso largo, capelli crespi e grandi orecchie rese in modo ferino e pertanto assimilabili a quelle di un fauno, secondo una tipica iconografia che fino al Settecento esaltava la sua natura selvaggia. Di particolare effetto il contrasto tra l’evocazione della carnagione scura, richiamata nella particolare accentuazione dei tratti, e l’uso del marmo bianco trattato con particolare morbidezza nelle pieghe delle carni del viso e nelle linee e le ombre che definiscono le scapole e lo sterno. L’immagine dell’uomo di colore si diffuse soprattutto nel Seicento con le nuove conquiste continentali in cui appariva nella condizione di schiavitù oppure come figura allegorica del continente africano. Tra gli esempi di epoca barocca vanno ricordate le monumentali sculture berniniane della cosiddetta Fontana del Moro e del gigantesco Rio de la Plata della Fontana dei Fiumi di Piazza Navona. La stilizzazione e la carica espressiva che vitalizza la tradizione tardo barocca induce a una datazione della scultura alla seconda metà del Settecento.
Scultore romano
Busto di magistrato
Seconda metà sec. XVII
Marmo statuario, h. cm 67
Il busto raffigura una figura maschile riccamente abbigliata appoggiata su un morbido cuscino con nappe. Tiene il braccio e la mano destra ripiegata sul petto in direzione del cuore mentre la sinistra poggia sul cuscino tenendo in mano un rosario di cui restano soltanto alcuni grani. Si tratta molto probabilmente di un ritratto funerario legato a qualche monumento secondo la teatrale impostazione barocca che soprattutto da Bernini aveva concepito intere cappelle come palcoscenici nei quali in diverse angolazioni si collocavano ritratti funebri a figura intera o a busto entro nicchie rivolti verso l’altare. In particolare questo busto Santarelli rievoca il celebre ritratto di Gabriele Fonseca di Bernini (1668) conservato nella chiesa romana di San Lorenzo in Lucina, di cui riprende, seppure con diverse articolazioni del gesto, sia il gesto devozionale della mano rivolta verso il petto sia l’altra che tiene un rosario. L’abbigliamento particolarmente elegante della figura ha fatto supporre possa riferirsi a un magistrato o comunque a un uomo di legge. I dati stilistici rinviano a uno scultore romano dell’seconda metà del Seicento di cultura prossima all’altro grande protagonista della scultura romana del periodo quale fu Alessandro Algardi.
Scultore romano del sec. II; scultore romano del sec. XVII
Torso femminile con testa di Dioniso
Secolo II d.C.- sec. XVII
Porfido, marmo rosso antico, breccia rossa (torso), marmo bianco statuario (testa), h. cm 82
L’opera raffigura un torso femminile in porfido con testa maschile in marmo non pertinente. Questo prezioso manufatto è l’esito di un pastiche realizzato probabilmente nel 17° secolo che ha comportato il restauro del torso in porfido rosso formato da una veste con un panneggio elegantemente mosso da pieghe riunito con due fibule circolari sulle spalle. Il particolare movimento dell’abito, come mosso dal vento, e le fibule circolari identificano l’opera come il torso di una Nike, di una Vittoria, raffigurata sempre nello slancio della corsa. Il torso venne integrato con l’aggiunta delle spalle, delle braccia tagliate e soprattutto della testa in marmo bianco. Anche la testa è da riferire, come il torso, a uno scultore romano del 2° secolo d.C. Pure nelle sembianze femminili va identificata con Dioniso per la presenza di pampini e corimbi (infiorescenze) nella capigliatura, elementi iconografici propri del dio del vino. La scultura rappresenta una lavorazione tipica della Roma barocca, quando era invalsa la moda di creare, con il riutilizzo di marmi preziosi antichi, statue composte da sculture frammentarie riadattate e riunite insieme.
Scultore romano
Testa di Serapide
Secolo II d.C.
Marmo bigio antico, h. cm 31,7
Testa maschile barbata in marmo bigio antico con apertura centrale di epoca successiva per un utilizzo legato al complesso decorativo di una fontana. I caratteri stilistici della scultura segnati dalla profondità della lavorazione di tutti i tratti del volto, dei capelli, della folta barba, indirizzano verso una produzione di una maestranza romana del 2° secolo d.C.
Nel volto è stata identificata una divinità particolarmente importante in ambito ellenistico dal 3° secolo a.C. quale fu Serapide. Il culto del dio Serapide fu favorito soprattutto in Egitto da Tolomeo I che in questa nuova personificazione divina voleva costituire una versione di Zeus. Per tale l’iconografia di Serapide con capelli e barba particolarmente lunghi è assimilabile a quella tradizionale del dio greco. Ad Alessandria la stirpe tolemaica fece erigere il colossale Serapeo, un complesso monumentale sacro dedicato a questa divinità.
Scultore romano
Ritratto di Didio Giuliano (?)
Secolo XVII
Marmo bianco statuario, h. cm 37
La testa, volta verso destra, rappresenta un uomo di media età con folta barba a riccioli lavorata con il trapano. Una massa di riccioli corona la fronte e le tempie; un collo robusto tagliato fa ipotizzare che la testa dovesse essere inserita in un busto. Questo esemplare Santarelli è una delle quattro copie di età moderna, realizzata in epoca barocca, e rappresenta una tipologia di ritratto imperiale romano dell’ultimo decennio del 2° secolo variamente riferita a Didio Giuliano, Clodio Albino o Settimio Severo. Alla morte dell’imperatore Pertinace si aprì un’aspra successione imperiale che portò nel 193 all’esistenza di diversi imperatori variamente riconosciuti dalle relative province e dai propri eserciti. Questa profonda incertezza politica condusse la ritrattistica ufficiale a creare un medesimo modello che rappresentava i tre personaggi menzionati, riconoscibili solo dall’esistenza di iscrizioni.
L’opera è una fedele ripresa del busto conservato a Roma, nei Musei Capitolini, e ne riprende anche l’andamento verso destra delle quattro ciocche di capelli sulla fronte, dettaglio aggiunto durante un restauro antico, quando il busto passò dalle collezioni del cardinal Caetani a quelle del cardinal Alessandro Albani, per poi confluire nella raccolta di papa Clemente XII Corsini in previsione della costituzione della raccolta capitolina.
Scultore romano
Ritratto femminile
Fine del I sec. d.C.
Marmo bianco a grana fine, h. cm 27
Il ritratto di donna in età matura, di altissima qualità formale, mostra un ovale morbido, con labbra carnose, naso diritto, occhi con palpebre sottili, sopracciglia arcuate e un collo solcato da ‘anelli di Venere’. L’orecchio destro è forato per permettere l’inserimento di un orecchino in metallo, forse prezioso. L’acconciatura è a piccoli boccoli aggettanti, sottolineati da minuti fori di trapano, ordinati in sei file parallele intorno alla parte frontale del capo; il retro mostra i capelli raccolti in ciocche fino alla nuca. Da dietro le orecchie e lungo il collo partono due lunghi boccoli.
Il tipo di acconciatura, a boccoli compatti sottolineati da piccoli fori di trapano, riflette il gusto delle epoche neroniana e tardoflavia/traianea. L’opera era presumibilmente destinata in origine all’uso funerario.
Scultore romano
Oscillum
Sec. I a.C. – I d.C.
Marmo bianco a grana fine, h. cm 27
L’opera, che conserva ancora i fori originali per la rotazione della lastra, è decorata sui due lati: il primo raffigura una scena dionisiaca con una menade nuda danzante con un tirso (un bastone terminante con una pigna) nella mano destra e con un manto nella sinistra; ai lati sono due satiri vestiti della pelle leonina, quello di sinistra accompagna la danza con il doppio flauto mentre quello di destra, più anziano, danza con la menade. Il grande realismo della scena è testimoniato dallo ‘sfondamento’ della cornice modanata da due delle teste dei personaggi.
Il secondo lato è decorato da un Erote a cavallo mentre sferza due ippocampi tra i flutti marini.
Gli oscillum, che raffiguravano sempre il thiasos (banchetto o associazione) dionisiaco, erano oggetti beneaugurali, spesso realizzati in terracotta o ceramica, da appendere nei peristili o nei giardini interni delle ville romane. In rari casi, come l’opera in esame, erano realizzati in marmo e potevano essere utilizzati anche come chiusura di condotti d’areazione.
Il sottile rilievo e la raffinata realizzazione plastica delle figure inseriscono l’opera nella fase del classicismo augusteo.
Scultore romano
Busto di Tritone
Sec. II d.C.
Marmo bianco a grana fine, h. cm 55
Il busto nudo del tritone presenta nelle spalle una possente massa muscolare. Il volto mostra una folta barba ad ampie ciocche, divisa al centro da una scriminatura; la parte inferiore è frutto di un restauro antico, forse cinquecentesco, individuabile per il diverso trattamento delle ciocche della barba. Oltre alla bocca spalancata, rilavorata successivamente per un utilizzo come elemento di fontana, il viso è caratterizzato da zigomi sporgenti e occhi con spesse palpebre e caruncola lacrimale; le sopracciglia sono forti e aggettanti. Le orecchie sono ferine, come quelle dei centauri o dei satiri. Oltre la fronte è un’importante chioma lavorata a ciocche scomposte di cui le due centrali (quella di sinistra è andata persa) ad andamento sinuoso verso l’esterno; sul retro ricadono lungo le spalle e convergono verso il centro della figura.
Il busto venne presumibilmente rilavorato in epoca antica per essere poi collocato come bocca di una fontana, elemento molto frequente nelle ville romane in associazione alle divinità marine.
L’identificazione con un tritone è confermata dalle affinità con le statue della Galleria delle Statue ai Musei Vaticani: i tritoni hanno, come nel caso della scultura Santarelli, un aspetto giovanile e appassionato, il volto ha un carattere eroico malgrado le orecchie ferine, e la chioma selvaggia irta di sale marino diviene un elemento di virilità e di fiera poesia.
Scultore romano
Statuetta di cane sdraiato
Sec. I – II d.C.
Marmo giallo antico, h. cm 14
La statuetta raffigura un cane sdraiato, su una base a profili arrotondanti, in posizione di attesa, con il muso poggiato sulla zampa sinistra. La testa triangolare e appuntita presenta occhi molto espressivi quasi di un sentimento di tristezza; il corpo è estremamente naturalistico ed è possibile vedere le pieghe della pelle sui muscoli tesi e sulle ossa delle costole. La coda è ripiegata sotto la zampa posteriore sinistra.
Il marmo utilizzato, il giallo antico o marmor numidicum, era originario della Tunisia e le cave romane da cui si estraeva il prezioso materiale divennero ben presto di proprietà imperiale.
Il cane, probabilmente da caccia, ha due confronti molto calzanti per la grande eleganza: un piccolo cane sdraiato in calcedonio, datato al sec. I d.C. (Londra, British Museum) e soprattutto il cane da caccia del 520 a.C. custodito al Museo dell’Acropoli di Atene. Tale opera, che costituisce il probabile precedente dell’esemplare Santarelli, pur non mostrando la stessa posizione ne condivide i tratti somatici e l’identica trattazione della pelle e delle membra.
Simbolo della fedeltà, il cane sdraiato rappresenta sia per il materiale sia per le dimensioni contenute un oggetto privato, sicuramente creato per abbellire un ambiente interno di una nobile residenza.
Scultore romano
Cinghiale frammentario su capitello
Sec. II d.C.
Marmo bianco a grana fine, h. cm 37
La scultura raffigura la testa ferina di un cinghiale con la bocca semiaperta che lascia intravedere i denti e parte delle zanne fratturate; il pelame è reso a ciocche sottolineate da fori di trapano. Gli occhi, obliqui e disposti ai lati del cranio, sono contornati da spesse palpebre e presentano un foro che sottolinea la pupilla; terminano la testa le orecchie rotonde e contornate da setole. La parte restante dell’animale è liscia e ha un andamento curvilineo verso l’alto. Il cinghiale poggia su un capitello corinzio rotondeggiante. La testa nel suo complesso mostra una forte resa naturalistica, tipica del II secolo.
Per quanto concerne l’uso originario dell’opera appare convincente l’accostamento con tre stampe di Giambattista Piranesi, nella raccolta di tavole intitolata Vasi, candelabri, cippi, sarcophagi, tripodi, lucerne ed ornamenti antichi, edita nel 1778, che raffigurava oggetti antichi (o all’antica) conservati a palazzo Tomati a Roma, nella bottega della famiglia Piranesi. Le stampe raffigurano un monumento funebre, oggi scomparso, a forma di corno potorio o cornucopia, rinvenuto sulla via Appia a Roma, vicino a Capo di Bove nella vigna Cenci. Nonostante la resa dell’opera mostri evidenti contraddizioni (in un unico caso viene raffigurata un’iscrizione dedicatoria sulla base del monumento “VRBANVS AVGN VERN ET FABIA SVCCESSA”) l’opera Santarelli può con sicurezza appartenere a un monumento funerario romano.
Il rhyton, o boccale per libagioni, che sembra identificare la scultura in esame, era un oggetto usato nell’Antichità e, in alcuni casi, associato alle cerimonie funebri.
Scultore romano
Clipeo con testa di Medusa
Fine II – inizi III sec. d.C.
Marmo bianco, l. cm 32
Il frammento di clipeo, riccamente decorato con una serie di motivi racchiusi in centri concentrici, all’interno bordo di perline poi foglie di acanto e poi di nuovo perline, resi con una lavorazione profonda, ottenuta anche con l’uso del trapano, presenta al centro una testa femminile identificabile come Medusa. La Gorgone, infatti, presenta come segno identificativo tipico i capelli costituiti da serpenti. Il volto è frontale, con le guance un po’ gonfie, le narici marcate, le pupille incise e la bocca leggermente aperta a renderla più spaventosa.
Racconta il mito che la fanciulla in origine doveva essere di bellissimo aspetto e non così terrificante come viene normalmente raffigurata, ma che a causa dell’invidia della dea Atena sarebbe stata trasformata in un essere orribile, col potere di pietrificare chiunque avesse incrociato il suo sguardo. Fu Perseo a uccidere il mostro con lo stratagemma di farlo specchiare nel suo scudo prima di staccargli la testa, che fu portata in dono ad Atena. Da quel momento la testa di Medusa divenne il simbolo della dea, che orgogliosa di questo successo la sistemò sul suo petto a ricordo perenne, caratterizzando così la sua egida. Per egida si intende, quindi, uno scudo messo a protezione.
Il motivo della Medusa lo si ritrova spesso nell’arte antica, non solo nel mondo romano ma anche in quello greco ed etrusco; oltre a essere il chiaro attributo di Atena, diventa un motivo apotropaico poiché si pensava che rappresentare esseri mostruosi potesse allontanare tutto ciò che vi era di negativo e in questo contesto deve essere inserito il nostro scudo.
Scultore romano
Torso di barbaro
Sec. II d.C.
Marmo giallo antico, h. cm 50
La statua, priva della testa e di buona parte delle gambe, raffigura un barbaro prigioniero in posizione stante, che indossa un abito di tradizione orientale con tunica allacciata con una fascia all’altezza del petto e una seconda volta a quella dei fianchi, creando un rigonfiamento della veste. Il mantello copre solamente la schiena. La disposizione delle braccia, con quello sinistro posto orizzontalmente lungo la vita e quello destro frammentario in diagonale sul petto rivolto verso l’alto, ricorda quella meno diffusa di alcune statue di Daci prigionieri, quali uno dell’Arco di Costantino a Roma e uno rinvenuto a Efeso. Le misure ridotte e il materiale usato, il giallo antico o Marmor Numidicum, non trovano confronto con le statue colossali di Daci che dovevano decorare il Foro di Traiano, dove il tipo è largamente diffuso. Statue di Orientali, però, dello stesso materiale, erano poste a decorazione della Basilica Emilia nel Foro Romano. Il tipo del barbaro ha un significato altamente simbolico, a testimonianza della potenza e dell’espansione dell’Impero romano. Raffigurazioni di prigionieri erano poste sui monumenti pubblici a ricordo delle vittorie ottenute e delle province conquistate, così come i veri prigionieri venivano fatti sfilare per le vie della città durante i trionfi.
La fortuna del tipo dell’Orientale e del Dace ha portato a prenderlo come modello anche in altre epoche. A tale proposito si segnala una statuetta settecentesca, sempre in giallo antico, conservata a Dunham Massey in Inghilterra (Shneider, 1986, p. 220 n. BS 5), che ricorda la statua Santarelli non solo nel materiale, ma anche nella posizione delle braccia, e nella resa della tunica, anche se con una superficie meno panneggiata.