Cicerone scrive: “Bene i nostri antenati han chiamato convivio lo stare insieme a banchetto degli amici, perché importa una comunione di vita” (La vecchiezza 45, trad. Carlo Saggio, 2003). Il tempo è talvolta scandito dal cibo che distingue un tempo di festa da quello ordinario o, più semplicemente, i momenti destinati al pasto nell’arco di una giornata.
Durante l’età arcaica i Romani consumano abitualmente due pasti al giorno a base di cereali, legumi, verdure. Alimento principale è la puls, la polenta di farina di farro o frumento cotta in acqua e sale.
Col tempo si diffondono nuove abitudini alimentari e nuove pietanze finché, i pasti tradizionali divengono tre: la prima colazione al mattino presto (ientaculum), uno spuntino a mezzogiorno (prandium) e la cena serale a fine giornata (cena o epulae vespertinae).
Lo ientaculum consiste in pane e formaggio accompagnato talora da olive, frutta secca, latte e miele. Il prandium è uno spuntino leggero a base di verdura, frutta, legumi, uova, e si consuma per lo più fuori casa, nella taberna o al thermopolium, locali che offrono cibi caldi e bevande da consumare in piedi oppure seduti. Il pasto più importante e consistente è la cena, che inizia per tutti dopo il bagno, tra le 14 e le 16, e termina prima che sia notte fonda a eccezione di banchetti particolari.