De Chirico esoterico. Viaggiatore tra due mondi
a cura di Maurizio Vanni
Johann Wolfgang Goethe definisce il “Regno delle madri” quella dimensione che deve portare alla luce e rendere visibile qualcosa che rifugge dal semplice utilizzo del senso della vista. La percezione perfetta – che ha come obiettivo quello di giungere alla profondità emotiva e intellettiva dell’artista – potrebbe corrispondere alla possibilità di risalire all’emozione che precede l’inizio di un dipinto: un’importante conquista che prevede l’utilizzo di una lucida e attiva immaginazione. La visionarietà è quasi sempre più vera di qualunque veduta.
Potremmo perfino supporre che ogni attività creativa possa essere collegata a filo doppio a percorsi esoterici in quanto portatrice di verità profonde. Lo stesso Jung, grande collezionista di testi alchemici utilizzati nello studio della psicologia, affermava che fin dalle sue origini la ricerca del “non visibile” presentava un duplice aspetto: da un lato il lavoro pratico del laboratorio, dall’altro il processo psicologico, in parte conscio e in parte inconsapevole, proiettato verso la ricerca di stargate dimensionali.
Per estensione teorica, anche nei primordi della pittura potremmo riconoscere un approccio non lontano dai principi esoterici. Le scene dominanti nei graffiti del Paleolitico di circa ventimila anni fa nelle grotte di Lascaux non hanno uno scopo decorativo o estetico: attraverso quei disegni, infatti, si voleva propiziare l’esito favorevole della caccia per ragioni di sopravvivenza. Si cercava un contatto con l’oltre – presagio – attraverso un aspetto razionale del processo creativo.
Correva l’anno 1917 quando Giorgio de Chirico intraprese un nuovo viaggio di indagine artistica: l’esplorazione del regno della metafisica. Una sorta di ritorno alla bella pittura e all’ordine in un momento nel quale le Avanguardie Storiche erano sempre più orientate a disgregare l’immagine esteriore. La sua vera sfida, però, non cercava rifugio nella tecnica controllata delle accademie, nell’estetica classica, ma tendeva a un indagine del Tutto che non avrebbe dovuto ignorare gli aspetti più celati della realtà.
Il rapporto tra De Chirico e l’esoterismo è evidente sin dalle prime opere realizzate in Francia dove, molto probabilmente, l’artista entrò in contatto con diversi circoli esoterici che in quel periodo erano frequentati da personalità importanti del calibro di Duchamp e Breton. Non era casuale l’interesse di alcuni intellettuali nei confronti dell’esoterismo che, proprio in quegli anni, giocava un ruolo rilevante per la cultura. Era il momento in cui le tesi di Madame Blavatsky, Rudolf Steiner, Oswald Wirth erano all’apice del loro successo.
I testi di questi occultisti circolavano negli ambienti intellettuali dei tempi, suscitando non poco interesse. Anche Roma ebbe sicuramente un’influenza importante sugli studi di De Chirico riguardanti l’occultismo. L’artista vi si trasferì negli anni Venti. Un metafisico come lui di certo non poteva rimanere indifferente alle enigmatiche suggestioni che il fervido panorama esoterico offriva in quel periodo storico.
Le sue “visioni”, alimentate dallo studio dei filosofo presocratici – legati all’indagine del fondamento ultimo e della natura essenziale del mondo – e dal pensiero di Nietzsche, lo aiutarono ad orientarsi verso lo studio dell’anima delle cose. In particolare, la teoria dell’Eterno ritorno del filosofo tedesco contribuì alla creazione di un confronto costante tra persone e cose provenienti da epoche diverse, ma anche tra dimensioni differenti fatte dialogare in un “irreale” e infinito presente.
Proprio per questo motivo, De Chirico inaugurò una nuova stagione creativa, destinata di fatto a non terminare più, realizzando dipinti intesi come vere e proprie rielaborazioni di grandi opere del passato per poi arrivare a rileggere, a distanza di tempo, grandi opere da lui stesso realizzate. Una lucida e ossessiva proiezione nei confronti di quell’eterno ritorno che non poteva avere certezze perchè, ammesso che il tempo avesse proposto ciclicamente gli stessi contesti, questi non sarebbero stati riconosciuti come tali in quanto l’individuo, attraverso la conoscenza e l’esperienza, non sarebbe mai rimasto lo stesso.
Un approccio che andava oltre un’arte legata alla mimesi e che non si accontentava del semplice ritorno alla pittura tradizionale: la sua arte, infatti, si baserà su un costante ricorso a segni e simboli di un mondo esoterico tanto affascinante quanto poco conosciuto. Per accentuare il senso di meta-realtà, De Chirico ricorse a un personaggio che accompagnerà una parte importante dei suoi lavori: il manichino. Un uomo senza volto che rimandava all’idea platonica di un’umanità disfatta, confusa, frustrata, disorientata e fuori dal proprio naturale contesto.
La mostra “De Chirico esoterico. Viaggiatore tra due mondi”, composta da quindici opere selezionate dagli anni Venti agli anni Settanta, propone un percorso che non si limiterà a indagare i messaggi profondi e le suggestioni che raramente sono state prese in considerazione dagli studiosi dell’epoca o a scoprire come attraverso un approccio esoterico sia possibile immergersi nel mondo enigmatico di Ermete Trismegisto e della tradizione alchemica, ma dimostrerà come anche nelle opere più prevedibili e “naturalistiche” non siano mai mancati riferimenti a “mondi altri”.